In Italia i biocarburanti non decollano. E la ragione è che a oggi i costi sono più alti dei benefici: i vantaggi ambientali infatti sono nulli, mentre il costo della loro produzione rimane più alto di quello del petrolio. È quanto afferma lo studio «I biocarburanti in Italia. Opportunità e costi», commissionato a Nomisma Energia dall'Unione petrolifera e presentato oggi a Roma.
I dati presentati sui consumi di biocarburanti, del resto, sono poco incoraggianti: attualmente si attestano al 2,3% dei consumi mondiali di carburanti e, stando alla relazione, nella migliore delle ipotesi, potranno arrivare nel 2020 a coprire il 6% del totale. I Paesi che hanno registrato le migliori performance, secondo Nomisma, sono il Brasile e gli Stati Uniti. Grazie alle forti eccedenze agricole e alle politiche di incentivazione pubblica questi Paesi sono arrivati a coprire circa il 92% della produzione di biotenolo e l'11% di biodisel. Più indietro, invece, l'Europa dove si è scelta un'altra strada: fissando obiettivi di medio termine che per il 2010 si attestano al 5,75% (anche se stando alla direttiva 2003/30/CE questo risultato sarà spostato al 2015) per arrivare al 10% del 2020. Valori che, prevedibilmente, sarà difficile raggiungire. A maggior ragione in Italia.
Le ragioni? Secondo il direttore generale di Unione petrolifera Piero De Simone: «Occorrono regole e tempi chiari. I decisori dovrebbero fare un'analisi preventiva costi-benefici anche perchè attualmente i biocarburanti sono ancora più cari del petrolio. Bisogna evitare – ha aggiunto - che sia il consumatore a sopportare gli oneri aggiuntivi di una loro introduzione». Nel Belpaese, per raggiungere il target prefissato del 5,75% si è deciso di procedere per gradi: con la legge finanziaria del 2007 che ha imposto l'obbligo dell'1% nel 2007 e del 2% nel 2008, e con quella di quest'anno che prevede il raggiungimento del 3% nel 2009. Per arrivare agli obiettivi stabiliti da Bruxelles per il 2010, servirebbero 2,1 milioni di ettari di superficie agricola, a fronte di un potenziale teorico di 0,6 milioni. Ciò comporterebbe un massiccio ricorso alle importazioni che di fatto annullerebbe qualsiasi vantaggio ambientale derivante dalla riduzione di emissione di Co2.
Dal punto di vista economico, poi, per scongiurare l'aumento dei prezzi delle commodities alimentari (che potrebbe derivare dall'utilizzo di cereali come il mais per la produzione di biocarbutanti), lo studio rilancia l'utilizzo di biorcarburanti di seconda e terza generazione attraverso l'utilizzo della cellulosa delle piante o il tessuto oleoso delle alghe che non impattano con le produzioni alimentari. Il tutto ovviamentte richiederà lo sviluppo di nuove tecnologie realizzabili però solo nei prossimi anni.
Fonte Il Sole 24Ore
I dati presentati sui consumi di biocarburanti, del resto, sono poco incoraggianti: attualmente si attestano al 2,3% dei consumi mondiali di carburanti e, stando alla relazione, nella migliore delle ipotesi, potranno arrivare nel 2020 a coprire il 6% del totale. I Paesi che hanno registrato le migliori performance, secondo Nomisma, sono il Brasile e gli Stati Uniti. Grazie alle forti eccedenze agricole e alle politiche di incentivazione pubblica questi Paesi sono arrivati a coprire circa il 92% della produzione di biotenolo e l'11% di biodisel. Più indietro, invece, l'Europa dove si è scelta un'altra strada: fissando obiettivi di medio termine che per il 2010 si attestano al 5,75% (anche se stando alla direttiva 2003/30/CE questo risultato sarà spostato al 2015) per arrivare al 10% del 2020. Valori che, prevedibilmente, sarà difficile raggiungire. A maggior ragione in Italia.
Le ragioni? Secondo il direttore generale di Unione petrolifera Piero De Simone: «Occorrono regole e tempi chiari. I decisori dovrebbero fare un'analisi preventiva costi-benefici anche perchè attualmente i biocarburanti sono ancora più cari del petrolio. Bisogna evitare – ha aggiunto - che sia il consumatore a sopportare gli oneri aggiuntivi di una loro introduzione». Nel Belpaese, per raggiungere il target prefissato del 5,75% si è deciso di procedere per gradi: con la legge finanziaria del 2007 che ha imposto l'obbligo dell'1% nel 2007 e del 2% nel 2008, e con quella di quest'anno che prevede il raggiungimento del 3% nel 2009. Per arrivare agli obiettivi stabiliti da Bruxelles per il 2010, servirebbero 2,1 milioni di ettari di superficie agricola, a fronte di un potenziale teorico di 0,6 milioni. Ciò comporterebbe un massiccio ricorso alle importazioni che di fatto annullerebbe qualsiasi vantaggio ambientale derivante dalla riduzione di emissione di Co2.
Dal punto di vista economico, poi, per scongiurare l'aumento dei prezzi delle commodities alimentari (che potrebbe derivare dall'utilizzo di cereali come il mais per la produzione di biocarbutanti), lo studio rilancia l'utilizzo di biorcarburanti di seconda e terza generazione attraverso l'utilizzo della cellulosa delle piante o il tessuto oleoso delle alghe che non impattano con le produzioni alimentari. Il tutto ovviamentte richiederà lo sviluppo di nuove tecnologie realizzabili però solo nei prossimi anni.
Fonte Il Sole 24Ore