La direttrice di marcia impressa dal Luraghi ebbe il pregio della chiarezza degli intenti: i programmi industriali ebbero la precedenza sulle altre considerazioni, o almeno questa fu la volontà che guidò la sua azione. Dismissioni, accorpamenti, ristrutturazioni avrebbero dovuto restituire economicità al gruppo nel rispetto delle regole del mercato.
In particolare l'Alfa Romeo - controllata dall'IRI dal momento della nascita dell'Istituto nel 1933, ma già da sette anni nell'orbita pubblica per mezzo dell'Istituto di liquidazione - apparve agli occhi del Luraghi suscettibile di grandi sviluppi, qualora si fosse attrezzata a seguire strategie espansive simili a quelle delle altre imprese automobilistiche europee.
Quando entrò in contatto con la casa del Portello, si trovò un'impresa sovraccaricata da un alto numero di addetti (circa 8000), impegnata al Nord nella produzione di poche, costosissime, automobili e al Sud con gli impianti distrutti dai bombardamenti e riattivati solo in parte per produzioni aeronautiche di carattere marginale. Il Luraghi pose ai vertici aziendali un ristretto staff di uomini nuovi, tra i quali alcuni dirigenti conosciuti durante la lunga esperienza alla Pirelli. La nuova cultura amministrativa e gestionale espressa da questo gruppo si saldò con la conservazione delle capacità progettuali e delle competenze tecniche degli ingegneri che lavoravano presso l'ufficio progettazione e l'ufficio "esperienze" e che trovavano la loro piena espressione nella figura di O. Satta Puliga. Infine il Luraghi chiamò l'austriaco R. Hruska con l'incarico di riorganizzare i processi industriali. Hruska trasferì all'Alfa Romeo alcune competenze acquisite negli anni precedenti in Germania al fianco di F. Porsche, quando aveva collaborato, dal 1938 fino al termine della guerra, all'impostazione del progetto Volkswagen e alle produzioni di mezzi di trasporto a scopi bellici.