Assolutamente non è un rottame ... è veramente puro cuore sportivo ... ah che bei ricordi
infatti dicevo anche io che NON è un rottame, spero fosse chiaro!!
è un gran Q4 che può cantarne a tante!!!
Assolutamente non è un rottame ... è veramente puro cuore sportivo ... ah che bei ricordi
Lo so Fabio che dicevi che non era un rottame ci mancherebbe .. io stavo sostenendo la tua tesi
Un po di ALFA 33 Story per chiarire le idee a chi non conosce tutta la sua vita e fa solo confusione....
“Idea 33”. Con questo semplicissimo claim, nel 1983 l’Alfa Romeo presentò al pubblico il suo nuovo modello compatto, destinato a sostituire la matura Alfasud: l’Alfa 33.
La gestazione della nuova auto non fu troppo complessa. Realizzata su un pianale derivato da quello dell’Alfasud, la compatta di Pomigliano si presentava come un’evoluzione, sofisticata, del modello che andava a sostituire. Tecnicamente non vi erano differenze sostanziali, ad esclusione di una razionalizzazione della meccanica: posteriormente, freni a tamburo sostituirono i precedenti dischi (evidentemente giudicati come una inutile raffinatezza su una piccola Alfa Romeo…),
all’anteriore i freni a disco a ridosso del differenziale, che caratterizzavano l’Alfasud, furono sostituiti da normali dischi sui mozzi delle ruote, mentre l’azione del freno a mano si spostava convenzionalmente al posteriore (l’Alfasud aveva lo strano freno a mano che agiva avanti). A queste variazioni, si affiancava un telaio irrigidito in previsione dell’aumento di peso e delle potenze in gioco e sospensioni McPherson all’anteriore ed un poco raffinato assale rigido con barra Panhard posteriormente.
Analogamente a quanto successo per l’Alfa 75, nonostante l’anzianità della base meccanica, la modernità del progetto originario permise alla neonata Alfa 33 di mantenere elevata l’immagine del marchio che la distingueva. Due soli erano i propulsori. Alla base vi era il 1.3 da 79 cv (per alcuni mercati, vi era il 1.2 di derivazione Alfasud), accompagnato dal 1.5 con un solo carburatore doppiocorpo, da 85 cv. Il design della carrozzeria era il più evidente punto di forza della piccola Alfa, che presentava in quattro metri tondi (401 cm), un frontale affilato - con uno scudetto dalla curiosa forma pentagonale - ed un mezzo volume di coda relativamente alto, raccordati da una linea a cuneo e da un padiglione molto profilato. Le doti aerodinamiche erano in parte disturbate dagli accoppiamenti non sempre perfetti e dal fissaggio del parabrezza, non incollato e mantenuto mediante una grossa guarnizione in gomma. Al contrario dell’esterno, l’abitacolo era un calderone di forme e di incavi degno dei più complessi esercizi architettonici degli anni ’70. Ben lontani dal concetto di plancia monoblocco, i designer del team di Ermanno Cressoni, crearono un cruscotto visivamente suddiviso in tre parti. Il conducente aveva avanti a se il blocco della strumentazione che era regolabile in altezza, solidale col piantone dello sterzo; al centro vi era una voluminosa consolle che ospitava le bocchette d’aerazione, vari pulsanti secondari, il portacenere e l’accendisigari. Seguivano vani per l’autoradio e portaoggetti. Davanti al passeggero c’era praticamente il nulla: una sottile fascia che faceva da supporto per le varie feritoie della ventilazione, peraltro poco efficace sotto tutti i punti vista, e un piccolo vano portaoggetti.
Su tutto dominava l’elemento geometrico del cerchio: circolari le bocchette d’aerazione, circolari gli strumenti, i pulsanti, gli incavi della plancia e addirittura gli strani comandi a manopola per inserire la sicura delle portiere. Le
tinte ricalcavano quelle della vecchia Alfasud nelle sue ultime versioni, quindi plancia nera e tappezzerie marroni o grigie di qualità non eccelsa. Sempre dall’Alfasud fu mutuato il particolare – e scomodo – blocchetto di avviamento sulla sinistra. Discreta l’abitabilità, di poco inferiore a quella della progenitrice sia nell’abitacolo che nel bagliaio, da circa 400 litri.
In generale, il nuovo modello dava di se un immagine più sofisticata che sportiva.
È bene ricordare che il ricorso alla sofisticazione era la linea guida dell’Alfa Romeo nei anni ’80, un artificio per scuotere un po’ la vendite, appannate dalle varie crisi energetiche degli anni ’70 e dall’invecchiamento generale della gamma. Dal 1980 al 1983, vetture come l’Alfetta, già con un decennio alle spalle, cambiarono improvvisamente, edulcorando la vecchia, ostinata, sportività con allestimenti e dotazioni sempre più ricchi: esordirono proprio nel 1982, per tutta la gamma, i nuovi cambi dai rapporti “lunghi” e l’allestimento “Quadrifoglio Oro”, caratterizzato da una ricchezza di accessori notevole.
Proprio il Quadrifoglio Oro con motorizzazione 1,5 litri era al top dell’offerta Alfa 33, che era formata, all’esordio, anche dalla 1.3 base e che poche settimane dopo s’arricchì della 1.5 4x4, stranamente depotenzianta di un cavallo rispetto
alla Quadrifoglio Oro.
In versione base, l’Alfa 33 offriva di serie particolari come i vetri elettrici e la chiusura centralizzata a cui si aggiungevano, nella Quadrifoglio Oro, la verniciatura bicolore con fascia inferiore in marrone opaco, i tergifari, il computer di bordo, il check-control (denominato Alfa Romeo Control), il temporizzatore per le plafoniere e la possibilità di ottenere a pagamento l’aria condizionata. La 1.5 4x4 era, invece, un progetto realizzato da Pinifarina per l’Alfasud, nel 1982 e industrializzato dall’azienda piemontese con la 33. Si trattava di una semplice trazione integrale inseribile, utilizzabile solo sui fondi a scarsa aderenza. Differenziava dalle versioni 2WD per l’altezza maggiorata, le tinte specifiche e la ridotta capacità del bagliaio (250 litri).
La gamma scarna e i prezzi non proprio popolari, minarono all’iniziale successo dell’Alfa 33. La casa corse ai ripari già nel corso del 1984, presentando la 1.5 Quadrifoglio Verde e la Giardinetta 1.5 4x4, madre delle future Sportwagon ed anche questa figlia di Pininfarina. La Quadrifoglio Verde era spinta dal solito boxer da un litro e mezzo, alimentato da due carburatori doppiocorpo e capace di 105 cv. Esternamente si distingueva per la calandra con quattro grandi feritoie, gli spoiler anteriore e posteriore, le minigonne, i paraurti in tinta e le cornici dei cristalli laterali verniciate in nero opaco; mentre all’interno vi erano finiture della plancia in color alluminio, strumentazione supplementare nella console centrale e sedili sportivi. All’urlata grinta “esteriore”, però non corrispondeva un anima adeguata: velocità massima (185 km/h) ed accelerazione erano un valore nella norma della classe.
Quello delle prestazioni è stato un autentico problema per la gamma Alfa 33 dei primi anni: le concorrenti avevano quasi tutte versioni di punta meglio motorizzate e più performanti (vedi Fiat Ritmo 130, Lancia Delta HF Turbo, Opel Kadett 1.8 e VW Golf 1.8 GTI), al punto che la piccola di Pomigliano faticava non poco ad imporsi come compatta sportiva.
L’impegno della Casa a migliorare l’immagine dell’Alfa 33 continuò anche nel ’85. Al secondo anno di vita del modello ci fu un primo adeguamento della gamma: la 1.3 “base”, mantenne il motore da 79 cv, ma subì una semplificazione degli allestimenti. Accessori come i vetri elettrici e la chiusura centralizzata furono “trasferiti” sulla 1.3 S che, grazie ai quattro carburatori (due doppiocorpo) e ad una cura ricostituente della meccanica, era in grado di regalare ben 86 cv, raggiungendo finalmente i vertici della classe 1.3. Come il propulsore 1.3 S, anche il 1.5 ad un carburatore doppiocorpo subì un iniezione di potenza: 10 cv in più.
Con 95 cv, la Quadrifoglio Oro, le 4x4 berlina e Giardinetta e la nuova Giardinetta 1.5 a due ruote motrici, sfoggiarono nuovo smalto. Rimaneva il problema della sottomotorizzata Quadrifoglio Verde a cui si pose un rimedio parziale l’anno successivo.
Il 1986 fu l’anno della maturità per la piccola Alfa 33. In Autunno, un intervento di natura commerciale, in primis ne cambiò la denominazione da “Alfa 33” in “33”, che si distinguevano per pochi particolari estetici: le nuove targhette di identificazione, gli indicatori di direzione anteriori e posteriori bianchi, la nuova calandra a maglie orizzontali più larghe e con il nuovo scudetto e le sottili minigonne estese a tutta la gamma. Ma le vere novità erano altre. L’interno era stato completamente ridisegnato: la tormentata plancia cedette il posto ad una più convenzionale, dal design lineare interrotto solo dal compatto cupolino della strumentazione, identica a quella delle serie precedenti, ma meglio leggibile.
Cambiava anche il volante, che perdeva il curioso “cuscino” centrale, mentre i rivestimenti e i pannelli porta si facevano più “importanti”. La gamma ’86, razionalizzata negli allestimenti, ma non in alcuni difetti congeniti (non era più disponibile il computer di bordo e l’Alfa Romeo Control era a richiesta, mentre il climatizzatore rimase inefficace), era composta dalle 1.3 e 1.3 S, dalla 1.5 TI da 105 cv, che sostituiva le precedenti Quadrifoglio Verde e Quadrifoglio Oro, dalla 1.5 4x4 da 105 cv e dalle nuove 1.7 Quadrifoglio Verde e 1.8 Turbodiesel.
La nuova cilindrata da 1,7 litri rappresenta il massimo, anche a livello strutturale, del vecchio boxer di derivazione Alfasud. Con la raffinatezza delle punterie idrauliche, 1712 cc e 118 cv, la 33 1.7 Q.V. era finalmente in grado di competere non solo con le concorrenti della propria classe, ma anche con alcune compatte sportive della classe due litri: 196 km/h di velocità massima e un’accelerazione 0-100 in 9” erano dati di tutto rispetto. La 33, ma in generale l’intera Alfa Romeo, tornava all’antico sapore di sportività. Esteticamente la 1.7 si distingueva per l’adozione dei deflettori anti turbolenza ai finestrini, la verniciatura in tinta dei paracolpi, lo spoiler posteriore, i nuovi cerchi in lega da 14” e le minigonne ridisegnate. All’interno i sedili sportivi, derivati dalla precedente versione, avevano poggiatesta sellati (e non più in plastica) e un nuovo rivestimento a scacchi grigio/nero con fili rossi.
Altra novità ’86 era la turbodiesel. Spinta da un 1.8 tre cilindri (ottenuto mutilando il quattro cilindri VM 2.4 dell’Alfa 90) da 74 cv, la 33 Turbodiesel si può definire più un esercizio ingegneristico che un modello dalla vocazione commerciale. L’installazione del grosso e pesante motore VM nella cofano della 33, parve più dettata dall’ostinazione dei tecnici (che dovettero risolvere parecchi grattacapi, tra cui il riposizionamento di numerosi accessori e del radiatore con un aumento di 2 cm della lunghezza della vettura), che da un’effettiva richiesta del mercato. Il motore turbodiesel stravolgeva di molto le doti stradali della vettura e il pubblico le riservò un’accoglienza tiepida. La 1.8 Turbodiesel si distingueva per il piccolo spoiler nero posto alla sommità del lunotto.
Con queste due versioni di punta emersero anche i primi dubbi sulla validità del telaio: su strada la 1.7 Q.V. era decisamente sottosterzante e globalmente mostrava non pochi problemi di aderenza in trazione. In realtà l’intera scocca era al limite delle sollecitazioni e ciò era evidente soprattutto in curva e in accelerazione dove la vettura letteralmente si impennava; gli ammortizzatori, di conseguenza, si stressavano presto e l’avantreno era solito andar fuori convergenza.
Tornando alla gamma, parallelamente alle berline, venne aggiornata anche la Giardinetta, con il 1.5 potenziato e il 1.8 turbodiesel. Nel frattempo, l’Alfa entrò nell’orbita Fiat e nacque l’Alfa-Lancia Industriale. Nuova gestione, nuovi prodotti. Si iniziò con la serie speciale “Silver”, dotata di fendinebbia, rivestimenti in tessuto e tetto apribile di serie; mentre a fine ’87 nacque la 33 1.7 i.e., che affiancò la Q.V. ai vertici della gamma: con l’iniezione elettronica, 110 cv, una fluidità sconosciuta ai boxer a carburatori e rivestimenti interni di maggior pregio, la nuova versione diventò quasi la “gran turismo” delle 33. A questa seguì nel 1988 un nuovo aggiornamento “totale” della gamma: per tutte calandra verniciata nella parte superiore e nuove targhette identificative, con i caratteri cromati. La 1.8 Turbodiesel, grazie all’intercooler ottenne una manciata di cavalli, mentre sparirono le versioni Giardinetta, sostituite dalle Sportwagon, che ottennero le stesse motorizzazioni della berlina. L’offerta era finalmente adeguata al mercato, ma, nonostante il continuo successo, l’auto accusava i segni dell’età. Il confronto con il nuovo punto di riferimento del settore, la Fiat Tipo, era imbarazzante: la 33 pur avendo raggiunto (e mantenendo) alti livelli in termini di prestazioni e piacere di guida, appariva come un’auto vecchia. A tradirla erano le finiture, l’abitabilità con la posizione di guida disassata, il design dei particolari, la climatizzazione e la qualità scadente di alcuni materiali della plancia. S’impose un adeguamento. E così, a partire dall’autunno del 1989 il mercato ne conobbe un’ulteriore evoluzione.
Non si trattava di un semplice face-lifting: quello del ’89 fu un restyling serio. Il design fu stravolto nel frontale, spiovente e con paracolpi più avvolgenti, e nella coda alta e tronca, caratterizzata da nuovi gruppi ottici che attraversano trasversalmente l’intero specchio di coda. Scomparirono le grondaie, sostituite da elementi integrati nel tetto e il parabrezza (come il lunotto) era finalmente del tipo incollato, a tutto vantaggio dell’aerodinamica e della rigidità strutturale.
Nuovi anche gli specchi retrovisori esterni, carenati e simili al quelli di 75 e 164 e le maniglie di apertura. In questa nuova veste, la 33 era omologata al nuovo family feeling introdotto dalla 164. I nuovi sistemi di produzione, garantirono un’adeguata protezione dalla corrosione, fino ad allora nota dolente della produzione Alfa di Pomigliano.
Adeguamenti marginali furono riservati alla meccanica e al telaio, per correggere quanto possibile, le noie alle sospensioni e alla geometria dell’avantreno, mentre l’abitacolo fu ulteriormente affinato.
La plancia mantenne la stessa struttura di base del modello ’86 – compreso l’avviamento sul lato sinistro - ma variarono il design della strumentazione, con un nuovo cupolino, del devioluci e della consolle centrale. L’Alfa Romeo Control ottenne una nuova grafica e i pulsanti dei vetri elettrici migrarono da tunnel centrale ai pannelli porta. La gestione del riscaldamento era affidata a tre manopole, non più agli anacronistici cursori. Finalmente la mascara di gestione dell’impianto di ventilazione era predisposta per accogliere i comandi del condizionatore, precedentemente nascosti sotto il volante. Quest’ultimo ottenne un nuovo design, più moderno e cambiò anche la forma del mobiletto tra i due sedili anteriori. Ulteriore modifica alle sellerie, disegnate per guadagnare qualche centimetro in abitabilità oltre che in praticità.
Con queste modifiche, tra il 1989 e il 1990 le nuove 33 sostituirono le vecchie versioni, che sopravvissero grazie alle serie speciali 1.3S Red (bicolore rosso-grigio e con allestimenti interni della Quadrifoglio Verde) e 1.3S Blue (blu metallizzato con allestimenti interni della 1.7 i.e.), oltre che con la rara 1.7 i.e. “Italia 90” vero canto del cigno della vecchia gamma 33.
A partire dal 1990, quindi, il mercato fu delle rinnovate 33, offerte anche in versione catalizzata, divenute nel frattempo quasi delle “istant classic” del mercato, dovendosi confrontare con le moderne concorrenti di ultima generazione. La gamma comprendeva, in versione berlina e Sportwagon, le 1.3 V e VL, con il boxer potenziato a 90 cv, la 1.5 i.e. da 97 cv, la 1.5 da 105 cv, le 1.7 i.e., i.e S e 4x4 da 107 cv. Sul fronte diesel, ritroviamo la “solita” 1.8 Turbodiesel, senza nessuna novità tecnica.
Tra il 1990 e il 1991 esordirono le versioni di punta. Con una nuova testata a quattro valvole per cilindro e un raffinato impianto di alimentazione (con iniezione elettronica e quattro corpi farfallati), il propulsore da 1.7 litri divenne capace di 133 cv. Equipaggiava le 33 1.7 i.e. 16v e la terza generazione di Quadrifoglio Verde, che con velocità prossime ai 210 orari e uno 0-100 in meno di 8”5 seppero incarnare al meglio quel carattere “Alfa” che tanto era stato rincorso negli anni.
A queste si affiancò, pochi mesi dopo la “33 1.7 i.e. 16v Permant 4 Quadrifoglio Verde S”: una sigla enorme, lunghissima che occupava tutto il portellone della piccola 33 e celava l’ultimo step evolutivo del modello di Pomigliano figlio dell’Alfasud: la trazione integrale permanente, che avrebbe risolto i problemi di trazione.
L’auto era ormai a fine carriera, e a ricordarlo c’era l’uscita di scena della versione a gasolio e le numerose serie speciali che fecero capolino dal 1992: dalla sportiva Imola (1.3 i.e. rosso o nero, con allestimenti della Quadrifoglio Verde) attraverso le Hit e Feeling, fino alla raffinata Loden (verde inglese con volante Nardi in legno e interni coordinati). Così, dal 1993 al 1995, la 33 continuò ad essere presente sul mercato con le sole versioni catalizzate, giungendo alla soglia del milione di esemplari.
Affiancò la 145 fino all’esordio della 146, che la sostituì nei listini, ma non nel cuore degli appassionati.
grazie ragazzi!!
lo so che non è un rottame!!!
in pochi lo capiscono....
purtroppo ha quanche problemino tecnico che cercheremo di risolvere...
dopo circa 100 km di autostrada viaggiando sui 130 km/h ha dei cali di potenza... accelerando spariscono...
GNA!