Bello questo articolo sulla Giulia (a parte il titolo). Interessante la chiave di lettura che da all'auto/prodotto Giulia. Non ricordo se è già stato pubblicato (magari l'ho anche già pubblicato io senza ricordarlo, dato che ormai ho un alzheimer galoppante)
Il mio punto di vista sull’insuccesso dell’Alfa Romeo Giulia. Cosa ci porta ad essere esterofili?
Al di là di ogni ragionevole dubbio, anche a detta di chi ha meno interesse nel dirlo (giornalisti stranieri, nda), l’Alfa Romeo
Giulia si guida come nessun’altra berlina a quattro porte dello stesso segmento. Io stesso più provo auto (che pure mi piacciono e mi colpiscono per altri aspetti) e più mi è impossibile trovarne una che mi comunichi quello che mi comunica la berlina ciociara senza andare a cercare tra le sportive. Quello sterzo, quella leggerezza (quel
peso percepito che tanto ha fatto ridere e discutere su YouTube) quella reattività che rasenta la telepatia, quel sentirsi davvero tutt’uno con la macchina, o si va a cercarla su una
Miata o – tra le berline – non la si trova; mi dispiace.
Recentemente abbiamo avuto modo di provare la
splendida
Jaguar XE. Oltre alla grande delusione di cui vi parleremo nel video
YouTube (che troverete linkato al suo articolo anche qui su
piedipesanti.com) che uscirà nelle prossime settimane, per quanto riguarda l’aspetto della guida, ne ho avuto l’ennesima conferma.
Ed allora perché alcuni, magari anche senza averla provata, continuano a snobbare, giudicare con sufficienza o trasmettere scetticismo su un auto, la Giulia, evitando di ammettere che il frutto dello sforzo di
tanti connazionali, (pensiamo per una volta alle persone, al di là delle
mandrakate di
FCA) siano essi gli
operai di Cassino, i ricercatori di
Modena o i designer del
Centro Stile, sia risultato un
prodotto eccezionale? Probabilmente il motivo è culturale ed è da ricercarsi anche in uno dei sette peccati capitali. L’
invidia.
Inconfessabile ed universale. Tutti la proviamo senza che si trovi il coraggio di ammetterlo. E se ci si mette di mezzo pure la cultura, tutta mediterranea, per la quale chi ha successo non sia da prendere come esempio ma qualche volta, venga considerato un “usurpatore” un “cattivo” che è arrivato chissà come (ché ovviamente, il “
magheggio” è profondamente radicato nel nostro DNA) togliendo qualcosa agli altri; allora si arriva a capire la propensione naturale alla polemica e la critica a tutti i costi tipica dei paesi del Sud Europa; Italia e Grecia in testa.
Come italiano che ha lungamente vissuto in paesi stranieri, sono infastidito quando sento ad esempio affermazioni di miei connazionali su collaudati luoghi comuni che ci vorrebbero, noi italiani, come unici depositari universali “
dell’applauso all’atterraggio” quando si vola (vi garantisco che
NON è così) o che vorrebbe il nostro paese l’unico posto al mondo (di solito ci si associa al Burundi senza neppure sapere dove si trovi) in cui “le cose non funzionano” perché si sa, signora mia, che tanto la responsabilità è sempre “loro” e mai nostra.
Allo stesso modo, come italiano, sono infastidito davanti a
palesi atteggiamenti di esterofilia come tifare contro una squadra italiana diversa dalla nostra in Champions League quando non c’è interesse nel farlo (da interista, la scorsa edizione ci sono rimasto male per l’esclusione della Juve e quest’anno tiferò Napoli, Juve ed Atalanta) o quel manifestare addirittura supponenza se non addirittura odio nei confronti di maestranze italiane come succede spessissimo associati a marchi di origine del nostro Paese come Fiat od Alfa Romeo che invece, all’estero, sono apprezzati e ritenuti prodotti di eccellenza.
Perché il
pippone sull’invidia allora? È presto detto. L’invidia si manifesta spesso dove c’è qualcosa in comune. Si invidia il collega per la promozione ricevuta e non il
megadirettore galattico. Si invidia l’amico che si è comprato un Rolex e non il calciatore che magari, di quei Rolex ne ha 30. Si prova più fastidio nei confronti di chi ha successo se quel qualcuno parla la stessa lingua, abita nella stessa città o va al mare sulla stessa isola, abita insomma vicino a noi. Non è così?
Esempio sotto gli occhi di tutti.
Chiara Ferragni. amatissima quanto odiatissima dalle ragazze italiane (più tiepido il punto di vista dei maschietti), vista in maniera molto più positiva o neutra fuori dai confini. Il meccanismo è lo stesso: “potrei essere io” al suo posto, chi si crede di essere. Invece invece non si ha lo stesso atteggiamento di contestazione verso una qualunque Gigi Hadid, no, perché tanto è americana.
Anche nel mondo di internet succede. Gli Hater (senza “s” perché così vuole l’Accademia della Crusca) ne sono una manifestazione. L’enorme successo di
Greg Garage che (prendendosela in maniera molto discutibile con gli altri ragazzi del settore) ha cambiato e cambierà per sempre il modo di raccontare l’automobile. Oltre che essere scomodo viene attaccato perché con la semplicità del suo format che poteva “venire in mente a chiunque”, (oltre a fare rabbia per i motivi evidenti a tutti) suscita sicuramente tanta invidia.
Così succede nelle auto.
Toyota è giapponese; i
giapponesi sono un esempio di abnegazione al lavoro, precisi, imbattibili. I giapponesi non si discutono.
Volkswagen è dei
tedeschi, loro sono forti, sono bravi, sono inquadrati. Gli
italiani invece li conosciamo bene e non è pensabile che dagli italiani esca qualcosa di eccezionale come un’Alfa Romeo Giulia. Specie se quel qualcosa è alla portata di tutti perché la
Ferrari la si dà universalmente per assodata e la si accetta. Tanto poi ci rifacciamo con chi se la compra, ‘sta Ferrari, ma senza dirglielo in faccia, ché, poi, davanti alla sua 488 magari ci facciamo pure il selfie.
Oggi, l’automobilismo è un mondo declinato sempre più al
femminile. I maschietti delle nuove generazioni, grandi “manici” con la tecnologia, sono invece tendenzialmente disinteressati ai motori mentre
le ragazze lo sono sempre di più. Sempre più veloci a patentarsi e sempre più consumatrici del prodotto auto. I costruttori questo lo hanno capito perfettamente e, giustamente, offrono prodotti che possano piacere specialmente a loro, perché, nell’auto come nella vita, loro sono le uniche vere “
influencer” in grado di indirizzare totalmente le scelte delle famiglie e di tutto il resto del mercato.
Lo si nota con la 500, la Lancia Y, spesso associate all’immagine femminile; ma i costruttori lo capirono quando, con l’
Audi 80 o la
Passat B3 (in USA soprannominata non a caso “
Jelly Mould” – stampo per budini), cominciarono a “parlare rotondo” in un mondo di auto squadrate. Lo capiscono oggi che si è tornati a scegliere le linee tese e massicce, vistosi loghi da ostentare ma, soprattutto, quando quella stessa – importantissima – fetta di mercato, brama
la seduta alta e grandi schermi da sfiorare.
La mia conclusione (che chi la pensa in maniera differente sarà libero di definire da “fanatico”) è che in un mondo globalizzato, omologato ed equalizzato al punto che, così tanto, forse non si vedeva dai tempi dall’Impero Romano, Alfa Romeo ancora una volta si dimostra anticonformista, capace di andare controcorrente con la
Giulia, sinuosa e morbida come le estati del
Mediterraneo. In un mondo in cui i gusti ed i ruoli di uomini e donne sembrano invertiti, un mondo fatto di auto squadrate e grandi schermi (economici) venduti a caro prezzo, in un mondo di forme tese e griglie ipertrofiche poste forse a baluardo di un’insicurezza interiore, una “
berlina per intenditori” senza batterie al litio, senza monitor in 4K, senza SIM card, ma con tanta grinta associata ad un impareggiabile raffinatezza meccanica ed estetica, è un
gigantesco atto di potenza e ribellione.
Il mio punto di vista sull'insuccesso dell'Alfa Romeo Giulia. Cosa ci porta ad essere esterofili? - Piedi Pesanti