dal corriere della sera:
«Futuro dell' Alfa da inventare Un rebus per il Lingotto»
Il parere dello storico industriale Berta e l' intreccio con il piano di Marchionne
MILANO - È tutto «molto vero», dice. Vero che 110 mila macchine sono «una soglia modesta»: ed è un eufemismo, questo scelto da Giuseppe Berta, per ribadire che con numeri così o sei una seria supercar oppure non vai da nessuna parte. Vero che «parliamo di un marchio mito, ma con i miti e con la storia non ci fai i bilanci: e il primo a sottolinearlo, giustamente, è Sergio Marchionne». Vero anche che la questione è vecchia, «eredità delle precedenti gestioni Fiat», eppure nemmeno lui - l' uomo che ha salvato il Lingotto e ora ci riprova con Chrysler - ha fin qui centrato la missione Alfa Romeo. Dunque sì: essendo il capo-azienda, un po' di responsabilità se le deve assumere pure lui. In fondo però è quello che sta facendo, per lo storico d' impresa (insegna alla Bocconi, è stato responsabile dell' archivio storico Fiat fino al 2002, alla crisi del gruppo ha dedicato nel 2006 un libro che qualche scetticismo sulla «cura Marchionne» non lo nascondeva). Non vede contraddizioni e, soprattutto, sull' Alfa secondo Berta il numero uno del Lingotto non ha davanti altra strada che quella che sta seguendo. «Venderla? Ho letto l' analisi del Corriere. Condivido molti punti. L' argomento vendita lo prendo però come una provocazione. Perché qui non cederesti un' azienda, un sistema, una tecnologia: cederesti un marchio e nient' altro. Non so se il valore dell' asset sia tale da giustificare l' operazione, né se in realtà il tutto non si tradurrebbe in una svendita». Con, in più, il rischio che altri abbiano i mezzi che il rilancio lo renderebbero possibile. Sta qui, per Berta, uno dei punti-chiave. Non è un problema di vero mercato, vera concorrenza, o pura immagine (anche se sarebbe un brutto colpo, per Torino, vedere l' Alfa rinascere sotto cure altrui). «È, ed è stato fin qui, un problema di continuità. L' errore originale è stato acquistarla, l' Alfa, solo per evitare che in Italia arrivasse la Ford, ed è stato coraggioso Luca Cordero di Montezemolo a sottolinearlo proprio agli inizi della sua presidenza. La Fiat degli anni Ottanta non aveva una cultura gestionale che contemplasse il rispetto dei marchi, il loro valore, la loro autonomia. L' ha fatto solo con la Ferrari. Ma l' Alfa, come la Lancia, sono finite "omogeneizzate" nello stile di gestione torinese». Sì, poi con Paolo Cantarella ci hanno provato, a recuperare lo «spirito del Biscione», e proprio con quella 156 di cui, oggi che si chiama 159, Marchionne non vuole quasi sentir parlare: «Ci è costata un miliardo, e non è al livello che speravamo». Il modello originale, però, era stato il primo di cui si era detto: basta, o funziona o per l' Alfa è la fine. «E aveva funzionato. Solo che - spiega Berta - poi è mancata la continuità. Se vuoi presidiare un segmento non puoi affidarti a un modello spot e sederti sui successi». È quello che è accaduto. L' Alfa non ha una vera gamma. La 159 e la Mito oggi, la Giulietta domani. Stop. E questo essenzialmente per una ragione: servono risorse, tante, «e i quattrini sono quelli che sono». La si può mettere anche così: quando i mezzi ci sarebbero pure stati, «la Fiat in fondo non ci credeva», oggi che (forse) nel marchio qualcuno sarebbe pronto a scommettere di nuovo (Marchionne però andrà convinto) non c' è spazio per gli errori. Il risanamento prima, la Grande Crisi Globale poi hanno ristretto i bilanci. «E l' Alfa, ricordiamolo, nei suoi trent' anni "torinesi" non ha avuto solo problemi manageriali. Non è ai livelli di una Bmw, si dice. Vero. Ma andrebbe riconosciuto che ha pagato, e molto, una fabbrica sbagliata come Pomigliano. Due anni fa Marchionne ci ha investito, l' ha riqualificata. Ma per quanto sono state tollerate, e quanto sono costate, certe commistioni che tutti conosciamo?». Sì, si è voltato pagina, e la si volterà ancora: Pomigliano non farà più le Alfa, e il portare lì la Panda è per il Lingotto dimostrazione della volontà di investire. A maggior ragione resta, però, la questione Biscione. Davvero rimane un futuro? Marchionne ci sta lavorando: ha messo sotto i suoi, per aprile - quando presenterà il piano industriale di gruppo - si saprà quale mission consideri fattibile per il marchio. Berta, dovesse scommettere, lo farebbe su questo scenario: «"Traghettare" un paio d' anni così, con soglie modeste di produzione. Poi sfruttare le sinergie con Chrysler. A Detroit la sfida Marchionne è ardua, più di quanto lo stata per Lee Jacocca e più anche di quanto lo sia stata la stessa Fiat. Ma, se funzionerà, sarà quella la strada anche per Alfa». Raffaella Polato RIPRODUZIONE RISERVATA Presente e futuro